
La Cina è in crisi?
Lisa Jucca, Asia Finance Editor per Reuters, racconta in esclusiva a WMIDO cosa sta succedendo alla seconda economia mondiale. Quali sono le cause della crisi dell'economia cinese?La Cina, che per 30 anni è cresciuta a ritmi superiori al 10% annuo grazie ad un massiccio sviluppo industriale, sta entrando in una fase di “normalizzazione”, inevitabile per un’economia che da emergente diventa più matura. Oggi è la seconda economia del mondo, dietro agli Stati Uniti, e cresce al 7%, una cifra da capogiro per paesi come l’Italia. Ma la tendenza è al ribasso. Le fabbriche cinesi hanno raggiunto livelli di “saturazione”, ovvero producono più lavatrici, scarpe e computer di quanto il mercato richieda. Calando la domanda, il governo è obbligato a promuovere grosse opere infrastrutturali per sostenere la crescita. Ma questo crea un forte indebitamento del sistema e il debito cinese, pubblico e privato, è già oggi superiore al 250% del PIL.Questa crisi rischia di creare un divario sociale tra “ricchi” e “poveri” ed accentuare quello già esistente tra “città” e “campagna”?La Cina sta diventando un paese urbanizzato con grandi ricchezze concentrate nelle mani di pochi. Più della metà dei cinesi vive in città, con Pechino e Shanghai che superano i 20 milioni di abitanti. Il vero problema della forte industrializzazione e urbanizzazione cinese è però il devastante impatto ambientale. Oggi in Cina un terzo dei fiumi sono inquinati e nelle grosse città gli abitanti devono indossare maschere anti-smog per fronteggiare l’inquinamento atmosferico. Pechino sta promuovendo l’utilizzo di energie pulite. Ma riconvertire milioni di fabbriche richiede tempo. Come sta influendo e come influirà questa crisi su Europa e Stati Uniti?Il primo effetto del rallentamento dell’economia cinese è stato il crollo della domanda di petrolio e altre materie prime. Non avendo grosse risorse energetiche, la Cina è costretta ad importarle. Ma calando la produzione, si sono ridotte anche le importazioni di fonti energetiche. Più preoccupante per l’Europa e per l’Italia è la contrazione della domanda interna: date le dimensioni del mercato cinese, l’export europeo ne risente in tutti i settori, dalle auto all’abbigliamento e accessori. Se la crescita cinese dovesse rallentare ancora, Pechino potrebbe dover fronteggiare la disoccupazione – al momento quasi inesistente – e con essa il rischio di instabilità sociale. Quale le vie d'uscita possibili?Le risposte alla crisi possono venire dalla Cina stessa. Il governo sta cercando di orientare l’economia sempre più verso il settore dei servizi. Si sta anche muovendo per rendere le aziende, spesso statali, più competitive. È difficile però convertire alla concorrenza un’economia che per anni è stata drogata dai sussidi statali e protetta da un mercato di fatto chiuso. I buoni propositi ci sono, ma il rallentamento e il crollo della borsa potrebbero spostare più là nel tempo riforme di cui la Cina ha bisogno.