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Palmegiani: riscopriamo il vintage per proporre il nuovo

Palmegiani: riscopriamo il vintage per proporre il nuovo

Lo si potrebbe definire “l’uomo del blu”, quello che lui stesso definisce “il colore dei grandi spazi, fortemente evocativo del senso di libertà”. Bruno Palmegiani, direttore artistico del Gruppo De Rigo, è un’istituzione della creatività nell’occhialeria. A lui si deve gran parte del successo del brand Police, che oggi è vincente ma nel 1983 era una semplice intuizione. Intuizione geniale come sarebbe stata, pochi anni dopo, quella della lente blu specchiata, che portò ad un boom di vendite: 16 milioni di pezzi in tre anni. A quasi trent’anni di distanza, Bruno Palmegiani ripercorre ancora una volta quel periodo partendo dalla gioventù quando frequentava il mondo dell’abbigliamento, gli studi di ingegneria ed era appassionato di musica rock. Un background che si è portato dietro quando è approdato nel mondo dell’ottica, dapprima in una piccola realtà, poi con De Rigo. Come ha iniziato a disegnare occhiali, lo ha raccontato tempo fa a Emanuela Cavalca Altan, nel libro “L’anima del vestito nuovo”: “E’ nato tutto per caso. Lo stilista Luciano Esposito lascia la collaborazione e io lo sostituisco, seguendo le idee innovative del mio predecessore. Sono anni in cui il mercato non offre grandi proposte, tuttavia si percepisce nell’aria la voglia di cambiamento. Ho sempre avuto la mania degli occhiali da sole, li portavo quando suonavo da ragazzo, così penso di spingere l’azienda verso questo settore, creando una linea in sintonia con i tempi, in stile un po’ americano. Nasce così la linea Police”. E’, dice, “l’interpretazione italiana del sogno americano. Lo stile di vita metropolitano- americano, fortemente consolidato nell’immaginario dei giovani di quell’epoca, portò all’elaborazione di vari nomi di matrice anglosassone. Police fu una scelta casuale, se vogliamo, dopo aver appreso da un cliente che modelli molto simili erano indossati dalla polizia di New York. E’ nata una collezione di stile americano ma con l’inconfondibile gusto italiano”. Ed arriviamo al blu, quello della lente specchiata. “Dopo alcuni test positivi, pensai di connotare il marchio in un modo più forte, con un colore che desse un’impronta: specchio blu. Appunto il colore dei grandi spazi, fortemente evocativo del senso di libertà. E dobbiamo riconoscere che questo colore è stato la consacrazione definitiva dei Police come uno dei marchi aziendali più importanti del mondo”. Un successo tanto più significativo perché avvenuto in un momento in cui le griffe più note iniziavano la loro penetrazione nel mondo dell’ottica. Frutto non tanto di strategie particolari ma “di una giusta interpretazione delle icone generazionali e della rapidità nell’occupare spazi di mercato liberi, con prezzi accessibili”. Il 2011 è un po’ un amarcord aggiornato, è “tempo di vintage”, come suggerisce Palmegiani perché “in tempo di crisi si è portati alla ricerca di quelle certezze che hanno caratterizzato il nostro passato”. Insomma, riscopriamo il passato per proporre il nuovo, anche perché il passato molto spesso è totalmente sconosciuto ai giovani e, al tempo stesso, rimane di sicuro interesse per coloro che hanno vissuto il fenomeno in età giovanile e oggi sono dei quarantenni. E’ stato così per il modello 8299, con un particolare profilo per ottenere l’effetto estetico del ‘clip-on’ con la lente specchiata blu”. Seguendo questa traccia creativa, Police continua la sua politica basata sulla “riconoscibilità del prodotto insieme ad un prezzo assolutamente in linea con quello dei principali competitors e ad una comunicazione di grande visibilità ed immagine”. E se il mercato ha un occhio di riguardo per i giovani e le donne, i maggiori ‘consumatori’ di occhiali da sole, il marchio Police ha avuto testimonial come Bruce Willis, George Clooney, Paolo Maldini, Antonio Banderas, David Beckham, ovvero che, per dirla con le parole di Palmegiani, “rappresentano l’uomo, il maschio brillante, dinamico e deciso, che molti vorrebbero essere”.             Il creatore di Police ci racconta l’attualità del “sogno americano” trent’anni dopo  
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