
'Monumento' Meneghin cresciuto tra canestri e occhiali
Dino Meneghin è considerato il 'monumento' del basket italiano, il più grande giocatore che l'Italia abbia mai avuto. Non a caso è l'unico giocatore del nostro Paese entrato a far parte, dal 2003, della Hall of Fame del basket di Springfield, nel Massachussetts, la galleria che accoglie i big di questo sport di tutto il mondo. Il suo palmares dice tutto: 271 presenze in nazionale, quattro Olimpiadi (una medaglia d'argento a Mosca '80), due campionati mondiali e otto europei (una medaglia d'oro a Nantes '83 e due di bronzo, Essen '71 e Belgrado '75). E poi una straordinaria carriera di club fra Varese, Milano e Trieste, dove ha conquistato 12 scudetti (7 a Varese, 5 a Milano) e 7 Coppe dei Campioni (5 a Varese e 2 a Milano), oltre a trofei minori. E' stato anche il primo italiano per il quale la famosa Nba ha mostrato interesse, in un'epoca in cui la lega americana sembrava appartenere ad un altro pianeta. Adesso, a 58 anni, dopo una carriera in campo conclusa alla bella età di 44 anni, resta un personaggio carismatico: team manager della Nazionale italiana dal 1996, e' presidente della Commissione giocatori della federazione internazionale e della federazione italiana. Ma Dino Meneghin ha anche una caratteristica che lo fa entrare d'autorità nella sfera di interesse di Eyesway: viene da una famiglia che ha sempre avuto a che fare con gli occhiali. Lo racconta lui stesso: 'ho un fratello, Renzo, che fa l'ottico a Varese ma soprattutto mio papà ha sempre lavorato in questo mondo. Io sono nato ad Alano di Piave, provincia di Belluno, e dove lavori, nel Bellunese, se non nell'occhialeria? Mio padre ci è entrato che aveva 15 anni e praticamente ci è rimasto tutta la vita. Quando ci siamo trasferiti a Varese è diventato direttore di una fabbrica a Besozzo, poi si e' messo in proprio come rappresentante di un'altra azienda che produceva materiale, a quell'epoca innovativo, per montature di occhiali'. Cresciuto a 'pane e occhiali', Dino Meneghin solo dagli ultimi anni porta occasionalmente occhiali da vista: 'per leggere, ma dipende un po' dalle giornate. Con un occhio vedo meglio da lontano, con l'altro da vicino. Come dire: non mi faccio mancare nulla…'. Gli occhiali da sole, invece, li ha sempre portati. Lui la racconta così, con il solito tono giocherellone: 'non è che posso scegliere fra tutti i modelli con il naso che mi ritrovo. Mio padre, anni fa, mi ha dato un paio di vecchi Ray-Ban con i quali mi sono trovato a meraviglia. Solo che dopo tanto tempo si sono usurati. Allora sono andato da un mio amico, che lavora nel settore in Veneto, e gli ho detto: 'fammeli uguali''. Nel basket sono stati rari i giocatori scesi in campo con gli occhiali, almeno in Italia. 'Beh, ricordo Ciccio Della Fiori, che giocava con gli occhialoni e poi e' passato alle lenti a contatto. Nei primi tempi succedeva qualcosa di buffo, ogni tanto bisognava fermare il gioco per cercare la lente a contatto persa sul campo. Un'altra volta entrò in campo dicendo 'forse non sto bene, non vedo bene'. Sfido, aveva preso su per sbaglio le lenti a contatto di sua moglie…'. Nel basket mondiale invece, gli occhiali sono stati un segno distintivo per alcuni grandissimi giocatori della Nba, a cominciare dal mitico Kareem Abdul-Jabbar. 'Ma lui - ricorda Meneghin - gli occhiali li metteva soprattutto per protezione'. Ma lei considera gli occhiali un articolo necessario o più un articolo di moda? 'Quelli da vista sono un articolo necessario. Se non ci vedi non ci vedi, c'è poco da fare, anche se adesso ci sono anche soluzioni alternative. Quelli da sole seguono la moda. Ma, in un caso o nell'altro, soprattutto per le signore, sono articoli da scegliere con cura: anche più di come fanno con le borsette, le cinture'. Eyesway intervista in esclusiva il team manager della Nazionale Italiana di basket Dino Meneghin